sabato 9 febbraio 2008

Confronto tra scienza, storia e teologia: secondo alcuni saremmo già nel 2013

Il Natale è la festa che si aspetta ogni anno con rinnovata letizia. Per i ragazzi, soprattutto, è motivo di gradita attesa, non solo per le due settimane di vacanza scolastica ma anche per il felice momento di aggregazione familiare e per la festosa occasione di ricevere regali. La festività, pur cadendo nel periodo più freddo e più buio dell’anno, mette addosso quell’indicibile allegria e quell’immensa armonia, altrimenti riscontrabili nel periodo caldo delle gaie vacanze estive. Durante il periodo natalizio, ognuno sembra essere in pace con se stesso ed avverte nell’aria un senso di equilibrata serenità. Insomma, al di là di ogni consumata retorica, è veramente la festa più bella dell’anno. Quasi a ricercare questo festoso clima, ad inseguirlo e a raggiungerlo al più presto, come se fossimo in ritardo, ogni anno sembra che la festa venga anticipata, ma forse è solo per farla durare più a lungo. Un tempo la data dell’otto dicembre segnava l’inizio dei preparativi alle festività natalizie, oggi sembra che tale limite sia stato abbondantemente anticipato. Infatti, già da qualche anno, gli spot televisivi iniziano a mostrarci immagini relative al periodo, circa due mesi prima. Di conseguenza, anche i negozi delle nostre città addobbano con anticipo, rispetto al passato, le loro vetrine, per catturare la nostra attenzione e, soprattutto, il contenuto delle nostre tasche, mentre nelle case danno già spettacolo, agli angoli di balconi e di finestre, le luci multicolori degli abeti vestiti a festa.
Comunque, a prescindere da ogni altro significato, il Natale rievoca, per tutto il mondo Cristiano, la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, avvenuta circa duemila anni orsono. Scienziati e teologi si cimentano da tempo per dare una precisa risposta circa l’esatto momento dell’avvenimento. E, mentre per questi ultimi la data della nascita di Gesù Cristo resta fissata tradizionalmente alla mezzanotte del 24 dicembre di millenovecentonovantotto anni fa, per la scienza sembra che questa data debba essere anticipata, non solo di qualche anno, ma anche di qualche mese. A sostegno di questa tesi, il mondo scientifico prende come punto fermo il riscontro storico dell’epoca (la strage degli innocenti ordita da Erode, il censimento della popolazione palestinese ordinato dall’imperatore Augusto e la data di morte dello stesso Erode) ed il verificarsi di un fenomeno astronomico di grande rilevanza, come il passaggio di una cometa. Analizzando, pertanto, i vari punti, si è scoperto che la strage degli innocenti avvenne intorno all’anno 7 a.C., che il censimento è stato datato intorno all’anno 6 a.C., che la morte di Erode avvenne nella primavera del 4 a.C., che la cometa di Halley, conosciuta già all’epoca, passò nei cieli della Palestina, tra l’agosto e l’ottobre del 12 a.C., mentre c’è traccia di un’altra cometa, apparsa nella costellazione del Capricorno, tra il marzo ed il maggio del 5 a.C..Da quest’analisi, per far combaciare le varie tessere del mosaico, appare evidente che la nascita di Gesù possa essere tranquillamente collocata tra l’anno 7 e l’anno 5 a.C.. Ed è plausibile che, date le conoscenze dell’epoca, Dionigi il piccolo, il monaco sciita che nel VI secolo datò la nascita del figlio di Dio, sia incorso in qualche errore. In tal caso, oggi saremmo già oltre l’anno 2010.

La "rivoluzione" del '99 - 5^ ed ultima parte

Il valoroso ed abile ammiraglio fu impiccato all’albero più alto della sua stessa nave, la Minerva, e il suo corpo fu dato in pasto ai pesci. Molte sono le ombre su quest’episodio. E, per come si svolsero i fatti, ai più fu lecito ritenere che l’accanimento dimostrato da Nelson nella circostanza aveva l’acre sapore della vendetta. I due uomini, un tempo, avevano combattuto dalla stessa parte e forse erano stati anche amici. Il Caracciolo si distinse, per la sua abilità marinaresca, nell’assedio di Tolone, offuscando, in più di un’occasione, la fama del vanitoso Inglese. L’ammiraglio Nelson era, forse, invidioso anche per la considerazione in cui era tenuto il suo antagonista presso la corte napoletana. Di sicuro non digerì lo smacco che il Caracciolo gli diede, questa volta da avversario, quando su fronti contrapposti si sfidarono per la conquista delle isole del golfo di Napoli. Appena n’ebbe occasione, l’Inglese colpì con estrema ferocia l’uomo che, oramai, odiava. Lo stesso sovrano ebbe, poi, a pentirsene per non essere intervenuto tempestivamente e personalmente a placare la sete di vendetta dell’ammiraglio inglese. Francesco Caracciolo fu ucciso il 29 giugno del 1799.
Questa data e questa esecuzione segnarono l’inizio di una persecuzione accanita che andò avanti per circa un anno e che portò dinanzi al giudizio dei tribunali speciali alcune migliaia di persone, tra uomini e donne, che in una maniera o nell’altra erano state coinvolte negli eventi della Repubblica Partenopea. Oltre un centinaio furono le condanne a morte eseguite mediante l’impiccagione, in media furono effettuate due esecuzioni a settimana. A nessuno dei rei, quantunque illustre, fu concessa salva la vita: Cirillo, Ciaja, Pagano, tutti salirono le scale del patibolo. Neanche le donne furono risparmiate: se Eleonora de Fonseca Pimentel fu una delle prime vittime femminili del carnefice, Luisa Sanfelice, nel giugno del 1800, fu una delle ultime.
Tra le persone coinvolte ci furono anche cittadini dell’agro aversano. Vittima illustre della persecuzione regia fu il musicista Domenico Cimarosa. Il Cimarosa riuscì, tuttavia, a dimostrare che il suo coinvolgimento nei fatti della repubblica fu prettamente marginale, se non casuale. Riuscì a cavarsela con qualche mese di carcere e poi, esule, morì a Venezia appena qualche anno dopo. Non andò meglio a Francesco Bagno, medico di Cesa. Fu impiccato il 29 novembre del 1799 e la sua casa napoletana, al vicolo dei Giganti, fu prima saccheggiata e poi data alle fiamme.

La "rivoluzione" del '99 - 4^ parte

Ma era già troppo tardi. La città fu investita da ogni lato dalle orde sanfediste e a nulla valsero gli atti d’eroismo singoli o collettivi, come quello del forte di Vigliena che esplose con tutti i suoi occupanti, per evitare di cederlo intatto ai riconquistatori.
Con l’ingresso in Napoli dell’esercito sanfedista, avvenuto il 13 giugno del 1799, l’avventura della Repubblica Partenopea poteva ritenersi sostanzialmente conclusa, anche se molti patrioti, asserragliatisi in Sant’Elmo, in Castel dell’Ovo e in Castelnuovo, continuarono una strenua resistenza fino al 21 giugno, giorno in cui fu sottoscritta la loro totale capitolazione.
Durante la campagna per la riconquista del regno, il cardinale Ruffo dimostrò di essere certamente un buon condottiero e rivelò di essere soprattutto un ottimo soldato quando riconobbe il valore dei suoi avversari. Nei patti di resa che sottoscrisse, infatti, concesse l’onore delle armi e assicurò salva la vita a tutti coloro che fossero migrati per sempre in Francia.
Il patto del cardinale, però, non piacque alla corte di Palermo e, soprattutto, non piacque agli Inglesi che insistettero affinché Fabrizio Ruffo fosse destituito dal suo incarico e che fosse istituita una Giunta di Stato che avrebbe dovuto giudicare, come rei, tutti i prigionieri politici, già imbarcati sulle navi nell’attesa di salpare per la Francia.
Il re Ferdinando non seppe decidersi e allora, agendo d’iniziativa, l’ammiraglio inglese Nelson diede inizio alla stagione dei processi sommari e delle impiccagioni.
Nella vicenda, Ferdinando, più che succube degli Inglesi, si mostrò dominato dal volere della moglie Maria Carolina che, a sua volta, subiva l’influenza negativa di Lady Hamilton e di Orazio Nelson. A proposito di quest’ultimo, si ritiene che l’ammiraglio sia stato uno degli amanti segreti della regina di Napoli.
La crudeltà di quest’uomo si manifestò in tutta la sua nitidezza quando, con un processo sommario, ottenne di giustiziare l’ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo.
(continua)

La "rivoluzione" del '99 - 3^ parte

A reggerne le sorti, furono chiamati uomini come Cirillo, Pagano, Ciaja, Lauberg, Abbamonte, Logoteta, Serio, Baffi e Forges Davanzati, tanto per citarne alcuni. Non mancarono le donne. Fra loro primeggiò, certamente, Eleonora de Fonseca Pimentel che, mediante accorati appelli lanciati dalle pagine del suo Monitore Napoletano, invitava il popolo a partecipare attivamente alla vita democratica del nuovo regime politico.
Ma già agli inizi di febbraio, mentre il governo repubblicano si perdeva dietro il festoso e chiassoso clamore delle cerimonie cittadine, organizzate per piantare numerosi alberi della libertà e discuteva, con democratica lentezza, circa l’emanazione di nuove e più efficaci leggi per dare corso al nuovo modello sociale, dalla Sicilia, Ferdinando ordinò la riconquista del regno e l’esercito de la Santa Fede, con a capo il cardinale Fabrizio Ruffo, nuovo Vicario Generale, iniziò la marcia verso Napoli.
Gli Inglesi, anche questa volta, condizionarono la volontà del re. Il condottiero porporato, infatti, fu scelto dallo stesso Ferdinando, dopo l’esplicito veto degli alleati a non poter guidare personalmente la spedizione verso Napoli.
Alla fine di febbraio l’armata borbonica aveva già riconquistato vasti territori della Calabria ed andava accrescendosi, fino a divenire forte di circa diciassettemila uomini tra soldati, contadini e bande armate. E mentre via terra gli uomini del cardinale avanzavano senza troppi ostacoli, via mare, la flotta inglese riconquistava il controllo del Tirreno, occupando le isole di Ischia e di Procida, la flotta russa e quella turca, invece, controllavano l’Adriatico a ridosso delle coste pugliesi.
Napoli e i suoi dintorni restarono isolate. Per giunta di lì a qualche mese, dopo i contrasti sorti con il Direttorio di Parigi, anche il grosso dell’esercito francese avrebbe abbandonato la città partenopea, lasciandovi solo una piccola guarnigione a guardia dei castelli.
Verso la fine di maggio la minaccia dell’armata realista si fece più concreta. Solo allora, come risvegliatosi dal torpore in cui era caduto, il governo cominciò a temere per le sorti della Repubblica.
(continua)

La "rivoluzione" del '99 - 2^ parte

A Napoli il re lasciò, quale suo Vicario Generale, l’anziano principe Pignatelli Strongoli che ebbe il gravoso compito di difendere la città senza esporla, però, alla distruzione di un bombardamento.
Il Pignatelli fece di meglio in quanto, d’accordo con il generale Mack che aveva il comando dell’esercito napoletano, il 12 gennaio del 1799, venne a patti coi Francesi e, a Sparanise, stipulò un armistizio che aveva l’amaro sapore del tradimento. L’accordo, infatti, intervenne quando i Francesi erano ancora lontani da Napoli, quando la situazione politica e militare del regno era ancora ben salda nelle mani della corona e quando tutto faceva prevedere un facile ed un rapido ristabilirsi dell’ordine monarchico. L’armistizio, invece, introdusse l’anarchia nel Paese e consegnò, di fatto, Napoli in mano ai giacobini. Ciò fece da miccia per lo scoppio della rivolta controrivoluzionaria che durò alcuni giorni e fu anche il motivo per il quale il Vicario Generale, onde evitare le ritorsioni dei capezzoni del popolo fedeli alla causa realista, fu costretto, anch’egli, alla fuga.
Molte atrocità furono commesse in quei giorni, da una parte e dall’altra. Molte vittime furono sacrificate nel nome del re o in quello della repubblica. Il 23 gennaio del 1799, quando il generale Jean-Etienne Championnet entrò a Napoli alla testa di circa sedicimila soldati francesi, la Repubblica Partenopea era stata già proclamata da due giorni ed un governo provvisorio si era insediato nella sala del teatro del Palazzo Reale, ribattezzato, per l’occasione, Palazzo Nazionale.
La “Repubblica dei Filosofi”, così definita, perché ideata e fondata dagli intellettuali napoletani dell’epoca (siamo in pieno Illuminismo), ebbe, però, una breve esistenza. Nei suoi cinque mesi di vita il concetto di repubblica non riuscì a varcare i confini della città. L’ideale repubblicano rimase, in pratica, relegato tra le mura della metropoli meridionale e dei suoi immediati dintorni, né riuscì, tantomeno, a colpire la coscienza degli altri strati sociali. Pochissimi, infatti, furono i nobili, i magistrati ed i militari che vi aderirono e quasi nulla fu la partecipazione delle masse proletarie e contadine delle periferie e delle campagne. La Repubblica Partenopea poteva contare solo sull’appoggio di uomini di lettere, di scienza, di legge che, con il linguaggio metaforico che talvolta gli é proprio, non riuscirono a spiegare in maniera convincente concetti nuovi come: libertà, uguaglianza e fraternità, conclamati a viva voce ad un popolo che credeva che senza Re non si potesse vivere.
(continua)

venerdì 8 febbraio 2008

La "rivoluzione" del 99 - 1^ parte

A Napoli il 1798 si concluse senza il tradizionale rumore dei botti di fine d’anno. A dire il vero, dei botti ci furono. Furono quelli, temibili e letali, dei cannoni e dei fucili, perché nelle strade e nei vicoli napoletani si combatté per affermare il nuovo e rivoluzionario ideale che di lì a qualche giorno avrebbe condotto alla costituzione della Repubblica Partenopea.
Quell’anno il Natale non arrivò. Al suo posto arrivarono, invece, le truppe francesi del generale Championnet che, muovendo dai confini del Lazio, sfruttarono l’opportunità della rivolta per invadere il regno.
Ferdinando I, incalzato dagli eventi e minacciato da vicino dai Francesi, fu costretto dall’imperioso consiglio degli Inglesi, suoi alleati, a prendere la sofferta decisione di lasciare Napoli. Ferdinando e sua moglie serbavano un timore palese ed un odio irriverente nei confronti di tutti i Francesi, da quando la Francia repubblicana giustiziò i suoi ex sovrani, Luigi XVI e Maria Antonietta, rispettivamente il cognato e la sorella di Maria Carolina. L’evento delittuoso portò il Re di Napoli a schierarsi apertamente con le potenze che combattevano contro la Francia e lo spinse, inoltre, ad assicurarsi una protezione quasi personale dal potente alleato inglese. E fu così che, il 22 dicembre 1798, la famiglia reale e buona parte del seguito, ministri compresi, s’imbarcarono sulla nave ammiraglia di Orazio Nelson, diretti a Palermo.
La flotta inglese indugiò nelle acque del golfo ancora per tre giorni per colpa della bonaccia, che non permise alle navi di prendere il largo. I rappresentanti del popolo approfittarono di quest’occasione per inviare al re numerose delegazioni affinché si convincesse a rientrare, dopo aver assicurato un appoggio incondizionato alla sua causa. Ma la decisione degli Inglesi prevalse e il giorno di Natale Ferdinando partì, promettendo un rapido ritorno a se stesso ed al popolo.
Oltre che per i temuti battaglioni francesi, il re lasciò Napoli per evitare una lotta fratricida tra i lazzari, suoi seguaci, ed i rivoluzionari. Egli cercò di evitare, inoltre, che la bella e prosperosa capitale del suo regno fosse deturpata dalla furia dei giacobini napoletani e da quella dell’esercito francese, sceso in loro aiuto. Nella circostanza la famiglia reale, oltre al sacrificio per l’abbandono dell’abituale dimora, sopportò anche il dolore per la perdita del piccolo principe Alberto. Lo sfortunato principe morì, all’età di soli sei anni, durante la violenta tempesta che sorprese le navi inglesi mentre erano ancora in navigazione verso la Sicilia.
(continua)

giovedì 7 febbraio 2008

Uomini, macchine e... armi intelligenti

Nel corso di quest’ultimo secolo la ricerca scientifica ha avuto un incremento tale da trasformare e rendere la nostra vita molto più che confortevole.
Di pari passo è cresciuta anche la nostra sete di conoscenza, sono aumentate, qualitativamente, le nostre esigenze e siamo spinti ad osare sempre di più.
La casualità delle cose non è più accettata ed i sentimenti puri, come odio, amore, paura, dolore, istinto di conservazione ecc., non guidano più le nostre azioni. Oggi, come non mai, siamo indotti ad agire mediante l’uso della sola ragione e le nostre scelte sono condizionate dall’interesse. Cerchiamo una spiegazione plausibile ad ogni nostra mossa ed ogni nostro comportamento deve avere un filo logico dettato da questa o quella ragione o, meglio, dalla nostra intelligenza che, forte delle enormi esperienze acquisite, è sempre più deduttiva e meno intuitiva.
In una donna, moglie o compagna che sia, non cerchiamo più bellezza, dolcezza o altre doti prettamente femminili, vogliamo una donna che sia, ad ogni costo, intelligente. E, naturalmente, intelligenti devono essere i nostri figli, così come devono esserlo i loro giochi, anche se infantili. Intelligenti devono essere i nostri amici, i nostri passatempi e tutto il mondo che ci circonda. E, non paghi di essere attorniati già da tutta questa intelligenza naturale, la produciamo anche in maniera artificiale, per inserirla nelle macchine e negli utensili che usiamo tutti i giorni. Guai a perdere tempo dietro a qualcosa che si riveli inutile, seppure divertente. Guai a dare sfogo all’irrazionalità, saremmo considerati degli stupidi e saremmo evitati da tutti gli altri, gli intelligenti, che sono intorno a noi.
Cresciuti ed educati in pieno regime intelligente, noi, uomini del terzo millennio, aiutati da un’industria bellica che si avvale di una tecnologia tanto avanzata, siamo in grado di produrre macchine ed armi sempre più sofisticate e dotate di una precisione micidiale. Intelligenti pure loro. Gli elementi sfruttati per la realizzazione e l'impiego di queste armi cosiddette “intelligenti”, sono gli stessi che ci permettono quotidianamente una vita più comoda: l'elettronica, la telematica.
Le armi intelligenti, sfruttando le capacità fornite dai sistemi a raggi infrarossi (IR) o ad intensificazione di luce (IL) e aiutate dagli occhi artificiali dei satelliti spia, permettono la selezione degli obiettivi e provocano danni solamente a quei mezzi ed a quelle infrastrutture nemiche ritenute d’interesse strategico.
Questa tecnologia bellica d’avanguardia è stata già ampiamente sperimentata ed è risultata determinante, ai fini del successo finale, nella Guerra del Golfo ed è stata protagonista anche in quella dei Balcani.
La quasi totale perfezione raggiunta dai mezzi permette il ricorso al combattimento notturno, non più in forma episodica perché condotto per lo più alla cieca, ma lo consente in maniera sistematica in quanto effettuato con la precisione e la determinazione in cui si opera nell'ambiente diurno. Comunque, a prescindere da questi aspetti, nella guerra moderna, le consueti strategie di “guerra generale“ (ricerca della distruzione completa dell'avversario) e di “guerra limitata“ (sforzi e rischi devono essere proporzionati agli interessi in gioco), trovano, ancora oggi, ferma e valida attuazione e fanno assumere un’importanza ancora fondamentale alle forze convenzionali che, anche se si avvalgono di un’elevata prontezza operativa dovuta ai mezzi più moderni, sono dotate di armi tradizionali, le uniche a poter rievocare, nell’uomo moderno, ancora sentimenti e sensazioni come paura, angoscia, rimorso, dato che il loro impiego ne presuppone un uso ravvicinato. Neppure la minaccia al ricorso degli armamenti nucleari tattici riesce a intaccare più di tanto i nostri timori: gli esperti ci assicurano che il loro eventuale impiego, pur comportando un rischio di escalation, non darebbe luogo necessariamente ad un conflitto nucleare esteso e generalizzato.
Il ricorso a tali strategie impone agli eserciti moderni di essere in grado di condurre, nei diversi ambienti naturali, sia una guerra convenzionale che una guerra nucleare limitata e selettiva, ed impone un elevato addestramento per essere in grado di passare celermente da un tipo di operazione bellica all'altra. Anche questo ci fa sentire intelligenti, perché così siamo tenuti a credere di avere un controllo totale sull’uso razionale della forza.
Ma chi sono questi intelligenti che decidono come, quando e dove usarla? Nell'arte militare c’è una sola parola che stabilisce tutto ciò: la strategia. La scienza bellica attribuisce il monopolio assoluto della strategia al solo potere politico. Infatti la condotta strategica di un conflitto è un compito politico che esula dalle competenze delle gerarchie militari, alle quali sono affidate solamente le responsabilità della conduzione tattica dell'evento.
E le vittime? Quale rapporto hanno con l’intelligenza? In un conflitto si agisce per un interesse che di razionale ha solamente il bene di una collettività. Le bombe, quelle, anche se intelligenti, fanno delle vittime. Vittime di armi intelligenti, forse. Di sicuro, vittime di una intelligenza tutta umana.

lunedì 4 febbraio 2008

Per ridere un pò

  • Oggi ho fatto l'amore con Control. Domani provo con Alt+Canc
  • Sapete chi è il poliziotto più sfortunato? Quello che muore al posto di blocco. E quello più fortunato? Blocco!
  • Da una canzone di Ligabue: "Tutti vogliono viaggiare in prima...". Anch'io l'ho fatto ed ho fuso motore e frizione... Grazie Liga!
  • Sapete quali sono le categorie di narratori più bugiarde? I cacciatori e le donne. I cacciatori prendono un uccello e raccontano di averne presi almeno venti. Le donne prendono venti uccelli e racconatano di averne preso solo uno.
  • Un bambino chiede alla sua mamma: "Mamma perchè la maestra chiama Roberto Robertino, Paolo Paolino, Luca Luchino e a me no?" E la mamma: "Lo capirai da solo, quando sarai più grande..., Pompeo!"
  • In una stazione ferroviaria, all'improvviso un annuncio pubblicitario..., dlin dlon: "Si avvisano i signori viaggiatori che acquistando i preservativi delle Ferrovie dello Stato potrete venire anche voi con cinquanta minuti di ritardo."
  • Qual è il nome più bello per una ragazza? IKEA, e sapete perchè? E' Svedese, costa poco, te la porti a casa subito e te la monti in soli cinque minuti!
  • L'autunno è una brutta stagione, soprattutto per le donne e sapete perchè? Seccano i piselli, migrano gli uccelli, cadono i marroni e, se poi cade anche la nebbia, non si vede più neanche un cazzo!